Rifiutare una proposta di lavoro – senza una valida giustificazione – potrebbe far perdere all’ex coniuge il diritto all’assegno di mantenimento. Lo sancisce la Cassazione in una recente sentenza: si tratterebbe, infatti, di una violazione dei «doveri post coniugali», che prevedono per entrambi gli ex partner i principi di «autodeterminazione e autoresponsabilità», vale a dire il diritto – dovere di rendersi autosufficienti e autonomi rispetto all’altra parte, in assenza di problemi.

La sentenza riguarda il caso di una ex coppia di Ancona: l’ex marito, che corrispondeva alla ex moglie un assegno divorzile di 48mila euro annui, aveva chiesto una revoca del mantenimento, perché la donna non solo aveva da tempo una nuova relazione stabile, ma aveva anche rifiutato una proposta lavorativa seria e sicura che le avrebbe assicurato un reddito di 32mila euro annui, oltre che la possibilità di una polizza assicurativa per ottenere una pensione integrativa. 

I giudici d’appello, però, confermando la sentenza di primo grado, avevano ritenuto che la stabilità della nuova relazione non fosse stata adeguatamente dimostrata, e che l’offerta lavorativa fosse stata considerata «strumentale» a ottenere una riduzione o la revoca, dell’assegno di mantenimento (l’accordo di divorzio prevedeva la possibilità di ricalcolare l’importo nel caso in cui la donna avesse trovato un impiego part-time con uno stipendio mensile superiore a mille euro).

La Cassazione: «Il rifiuto del lavoro può costituire una violazione dei doveri post coniugali» 

La Cassazione, invece, ha dato ragione all’ex marito. La nuova relazione della donna non è stata considerata un motivo fondato di ricorso: «In tema di assegno divorzile in favore dell’ex coniuge economicamente più debole, questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e se impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno, in funzione esclusivamente compensativa». 

Il rifiuto del lavoro, invece, può costituire una violazione dei doveri post coniugali. Secondo la Cassazione, i giudici di secondo grado avrebbero dovuto valutare la serietà dell’offerta e la sua congruità rispetto alla formazione della donna. Nel caso in cui la proposta fosse stata adeguata, la ex moglie, con il suo rifiuto, avrebbe dimostrato di non impegnarsi per rendersi autosufficiente.

La Cassazione ha già imposto altre strette sulla richiesta di mantenimento. Nel 2017 gli Ermellini, ribaltando l’orientamento in vigore da un trentennio, stabilirono che l’assegno all’ex coniuge non dovesse essere collegato al tenore di vita matrimoniale. Più recentemente, nelle ultime settimane, i giudici hanno deciso la revoca dell’assegno per il coniuge che non lavori e che usi il denaro per «spese voluttuarie».

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